di Concetta Maria Randazzo
L’Unione Europea propone un paradigma di sviluppo socio-economico fondato sulla valorizzazione del capitale umano attraverso un modello di apprendimento dinamico e continuo, definito “Long Life Learning”. Tale strategia mira a implementare un ecosistema formativo che supporti l’evoluzione delle competenze durante l’intero arco del loro cammino professionale e personale.
Il long life learning si collega direttamente al concetto di orientamento, entrambi, infatti, convergono nell’idea che l’apprendimento e la crescita professionale siano processi continui, non limitati a un periodo specifico della vita. L’orientamento diventa quindi non più un momento statico di selezione, ma un supporto dinamico alla costruzione del progetto formativo e professionale individuale.
La suddetta concezione rivela tuttavia una significativa complessità interpretativa, emergente dalla coesistenza di due differenti accezioni del concetto di orientamento.
Una prima accezione configura l’orientamento come processo di empowerment individuale, volto a sviluppare competenze di resilienza e adattabilità sistemica. In questa prospettiva, il soggetto viene configurato come attore strategico capace di fronteggiare discontinuità esistenziali critiche – quali trasformazioni occupazionali improvvise o insuccessi formativi – mediante strategie di auto-riconfigurazione delle proprie risorse cognitive e relazionali.
Alternativamente, una seconda concezione interpreta l’orientamento come pratica valutativa standardizzata, finalizzata all’ottimizzazione dell’allocazione delle risorse umane. In questo quadro interpretativo, l’individuo diviene oggetto di una valutazione tecnica che ne determina il posizionamento strategico all’interno dei sistemi formativi e produttivi.
Nel contesto scolastico, prevale questa seconda visione. Gli insegnanti fanno orientamento valutando il rendimento scolastico e il comportamento degli studenti, parametri che, come si vedrà, risentono inevitabilmente della loro origine sociale.
Emerge quindi una domanda cruciale: l’orientamento scolastico, dato per scontato che non può essere neutrale, finisce per riprodurre le disuguaglianze sociali esistenti? In altre parole, le valutazioni anche quando sembrano oggettive rischiano in realtà di confermare e perpetuare le differenze sociali già presenti?
Il sistema formativo italiano, a mio avviso, tende purtroppo a mantenere le strutture di disuguaglianza, invece di contribuire a superarle e, di seguito, tenterò di spiegarne le ragioni e i meccanismi.
L’analisi socio-pedagogica contemporanea evidenzia una profonda discontinuità tra i patrimoni culturali delle diverse classi sociali e i sistemi di classificazione adottati dall’istituzione scolastica. Tale divario si manifesta principalmente attraverso le competenze linguistico-espressive, che diventano un decisivo strumento di selezione e stratificazione sociale.
La prospettiva teorica propone una ripartizione degli studenti secondo due modelli comunicativi fondamentali: un codice espressivo “elaborato”, tipico dei contesti borghesi, caratterizzato da maggiore complessità semantica e articolazione concettuale; e un codice “ristretto”, proprio dei contesti operai e popolari, contraddistinto da una struttura comunicativa più sintetica e pragmatica.
Questa bipartizione interpretativa rappresenta ancora oggi la modalità principale per analizzare i meccanismi attraverso cui l’orientamento scolastico riproduce e consolida le disuguaglianze sociali di origine.
Tale propspettiva trova il suo punto di riferimento nell’approccio teorico che indaga il rapporto tra strutture sociali e pratiche educative, connettendo il concetto di habitus alle dinamiche di legittimazione culturale. In questo quadro interpretativo, emerge con chiarezza come le famiglie appartenenti ai contesti sociali subalterni trasmettano un senso di inadeguatezza che condiziona profondamente le traiettorie formative dei loro figli.
Tale meccanismo si manifesta attraverso un processo di “adattamento” quasi spontaneo: gli studenti tendono naturalmente a orientarsi verso gli ambienti formativi percepiti come più congruenti con il loro background sociale. Ne consegue una sorta di auto-selezione: i giovani provenienti da contesti operai e popolari preferiscono percorsi professionalizzanti e tecnici, mentre gli studenti di estrazione medio-alta gravitano verso i percorsi accademici e liceali.
Questo meccanismo non è semplicemente una scelta individuale, ma rappresenta l’esito di un complesso sistema di condizionamenti sociali che regolano le aspettative, i desideri e le percezioni di rispettabilità degli individui.
L’orientamento scolastico diventa così uno specchio che riflette e al contempo riproduce le strutture di disuguaglianza sociale, trasformando differenze di origine in destini formativi apparentemente neutri e naturali.
Seguendo l’approccio teorico che indaga i meccanismi di riproduzione sociale, le scelte scolastiche si configurano come un sofisticato meccanismo di stratificazione sociale, dove l’orientamento scolastico diventa uno strumento più o meno consapevole di selezione e riproduzione delle gerarchie esistenti.
Le dinamiche di indirizzamento formativo si articolano attraverso pratiche apparentemente neutrali, ma sostanzialmente cariche di implicazioni sociali profonde. Gli insegnanti, spesso, senza volerlo, agiscono come agenti di un processo di normalizzazione delle traiettorie educative.
Queste dinamiche si strutturano intorno a due paradigmi interpretativi fondamentali:
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Il modello dell’adattamento preventivo: gli studenti provenienti da contesti socialmente svantaggiati vengono progressivamente orientati verso percorsi formativi percepiti come “più consoni” al loro background, mediante un processo di auto-limitazione delle aspirazioni.
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Modello della regolazione esplicita: gli operatori didattici esercitano un controllo più diretto nel ridimensionare le ambizioni degli studenti provenienti da fasce sociali marginali.
E’ fondamentale in quest’ottica comprendere se questa trasmigrazione avvenga per vie implicite – mediante l’influenza sul rendimento scolastico – o attraverso meccanismi più diretti di selezione.
L’orientamento scolastico si configurerebbe come un dispositivo di controllo sociale soft, che opera attraverso la naturalizzazione delle disuguaglianze. Le pratiche di indirizzo formativo non sono semplicemente tecniche valutative, ma veri e propri rituali di riproduzione delle strutture sociali esistenti.
Il sistema di orientamento dunque non è mai davvero neutrale, ma costantemente permeato da logiche di classe che traducono le differenze sociali in destini formativi apparentemente naturali e inevitabili.
L’istituzione scolastica si configura così come un dispositivo di riproduzione sociale sofisticato, capace di trasformare le disuguaglianze strutturali in percezioni soggettive di attitudine e vocazione individuale.
In definitiva occorre riconoscere che l’identità di ciascuna istituzione scolastica si costruisce attraverso un complesso sistema di elementi interconnessi, che vanno oltre la mera dimensione didattica. Si tratta di un ecosistema sociale articolato in cui convergono molteplici fattori: la visione pedagogica del dirigente, l’approccio metodologico degli insegnanti, le pratiche organizzative implicite e la cultura professionale complessiva.
Questi elementi concorrono a definire una sorta di “impronta genetica” organizzativa, un sistema di coordinate culturali e comportamentali che trascende i singoli individui e configura un dispositivo collettivo di orientamento. Tale configurazione agisce come una cornice interpretativa che media e modella le traiettorie individuali degli studenti, traducendo le disposizioni soggettive in percorsi formativi specifici.
L’habitus istituzionale può essere concepito come un’interfaccia dinamica che traduce le potenzialità individuali attraverso filtri culturali sedimentati. Ogni istituto scolastico sviluppa quindi un proprio profilo di attrazione, rivolgendosi tendenzialmente a un bacino d’utenza di giovani con disposizioni sociali e cognitive affini.
Questo meccanismo di selezione non è semplicemente un processo di reclutamento, ma un sofisticato sistema di condizionamento delle aspettative e delle percezioni. L’istituzione scolastica diviene un ambiente formativo che non solo accoglie, ma plasma attivamente gli orizzonti cognitivi e le traiettorie formative degli studenti.
La scuola si configura così come un dispositivo di mediazione sociale, capace di trasformare le differenze strutturali in percezioni soggettive di appartenenza, attitudine e vocazione. Un sistema che non semplicemente registra le differenze sociali, ma le riproduce e le riconfigura continuamente. La sua funzione attuale tradisce l’ideale democratico di uguaglianza delle opportunità, cristallizzando le disuguaglianze sociali attraverso meccanismi apparentemente neutri ma in realtà ingannevoli.
Per superare questo limite strutturale, occorre immaginare un modello radicalmente diverso di accompagnamento formativo. La trasformazione dovrebbe muoversi su più piani: culturale, metodologico ed economico. E’ necessario decostruire gli stereotipi che orientano implicitamente le scelte, scardinando quei pregiudizi che vincolano i giovani a traiettorie predeterminate dal loro contesto sociale di origine. La vera sfida consiste nel costruire un sistema di orientamento che sia innanzitutto uno strumento di emancipazione e non di perpetuazione dello status quo. Significa ripensare completamente la logica di valutazione, superando i criteri esclusivamente meritocratici, che tendono a premiare chi parte già avvantaggiato. Bisognerebbe sviluppare metodologie che sappiano riconoscere i talenti nascosti, le potenzialità inespresse e tutte quelle capacità che vanno oltre i tradizionali parametri scolastici di valutazione. L’intervento deve essere multidimensionale: formare operatori consapevoli, capaci di leggere le dinamiche sociali; predisporre sistemi di accompagnamento personalizzati; garantire supporti economici che permettano la reale fruizione delle opportunità formative. Non si tratta solo di aprire le porte, ma di costruire ponti concreti per chi parte da posizioni di svantaggio.
L’obiettivo ultimo è trasformare l’orientamento da dispositivo di selezione e riproduzione sociale a strumento di promozione umana. Un’autentica rivoluzione culturale che restituisca alla formazione la sua missione più alta: essere ascensore di mobilità sociale, opportunità di crescita individuale e collettiva, spazio di realizzazione delle potenzialità di ciascuno, indipendentemente dalle condizioni di partenza.
Per approfondire:
F. Parziale e G. Parente, l’orientamento scolastico come pratica di riproduzione delle diseguaglianze scolastiche dovute all’origine sociale, in: The Lab’s Quarterly, 2021 / a. XXIII / n. 3, pp. 139-164.
D. Checchi, Percorsi scolastici e origini sociali nella scuola italiana, in Politica economica, 2010, 26(3): pp. 359-388.
M. Pitzalis, Ritorno sulla riproduzione sociale. Famiglia, capitale culturale e campo scolastico. In E. Susca (a cura di), Il mondo dell’uomo, i campi del sapere (pp. 159-179), Orthotes, 2017, Napoli-Salerno,
M. Triventi, Le disuguaglianze di istruzione secondo l’origine sociale. Una rassegna della letteratura sul caso italiano, in Scuola democratica, 2014, 2: pp. 321-342.
orientamento scolastico e pregiudizi