Insegnante di sostegno non si diventa per investitura ministeriale né per esigenze di lavoro. Per essere di supporto ad alunni disabili, ovviamente, non si può prescindere da una profonda e specifica preparazione teorica e pratica, ma, prima di ogni altra cosa, occorre vivere con passione l’amore per il prossimo, specie quando questo è meno fortunato e necessita di un aiuto per superare quei deficit che la natura e la società hanno imposto o accentuato.
Si diventa insegnanti di sostegno perché si sente anche il bisogno di aiutare, supportare, perché si crede all’elasticità ed alla flessibilità dell’essere umano, alla possibilità di risorgere dalle difficoltà, alla possibilità di convivenza delle diversità. L’insegnante di sostegno ha una sua mission: deve cercare di facilitare il percorso del bambino a scuola. Si trova così a dover mediare tra i contenuti disciplinari, le aspettative degli altri, lo stile d’apprendimento del bambino, le attività del gruppo-classe e ciò che il bambino riesce a fare a seconda delle proprie competenze di base; ma deve arginare anche i possibili fallimenti, la frustrazione, la delusione dell’alunno che via via, col passare del tempo, inizia a intuire che ha qualcosa che non va, che ha qualcosa di “diverso” dagli altri.
Ma l’insegnante di sostegno è prima di tutto un insegnante, questa affermazione, che sembra banale, non deve essere mai data per scontata. Troppo spesso si vede ancora oggi l’insegnante di sostegno relegato in ruoli assistenziali, pietisticamente materni, o quale strumento di “esclusione” dell’alunno disabile dalle normali attività scolastiche, spesso con la complicità dei docenti curricolari che lo vedono come un insegnante “delegato” o “relegato” all’alunno disabile, quasi un insegnante di “serie B”. L’insegnante di sostegno è, invece, un insegnante di “serie A”, come tutti gli altri, e condivide con tutti gli altri colleghi i compiti professionali e le responsabilità sull’intera classe.
Non ha un “suo alunno” diversamente abile, tutto per sé, in possesso esclusivo.
L’insegnante “di sostegno”, in realtà, è un insegnante “per il sostegno”, o meglio per attivare le varie forme di sostegno che la comunità scolastica deve offrire. “Un insegnante competente che permetta al contesto scolastico di essere competente, e non limiti e chiuda, quindi, la competenza alla sua presenza ma la colleghi all’investimento strutturale dell’ambiente scolastico”[1]. Un insegnante dunque che attiva sostegni e competenze varie nella vita scolastica di tutti e che non si racchiude in una relazione didattica individuale e separata con l’alunno disabile. Questo non è affatto facile e richiede una particolare specializzazione.
Tutte queste implicazioni si manifestano in modo molto chiaro nell’esperienza giornaliera di un insegnante di sostegno, ancor più se precario, in ogni ordine e grado scolastico, perché i colleghi non sempre comprendono appieno il valore dell’inclusione e la crescita morale e sociale che la presenza di un disabile può portare alla classe ed allo stesso docente.
Ma, seppur con queste difficoltà, la didattica deve nascere nella scuola, e non da solitarie riflessioni e dissertazioni. L’importanza dell’azione, dell’agire didattico, diventa di portata conoscitiva e spinge ad interpretare in modo nuovo il classico rapporto teoria/pratica in educazione. “L’orizzonte di senso”, nell’accezione data alla locuzione da Hans-Georg Gadamer[2], considerata la ricchezza e la complessità della pratica didattico-educativa, riposa nella centralità del sintagma “imparare lavorando”. Occorre quindi “scendere in campo” attraverso una “epistemologia della pratica che mostra la riflessione nel corso dell’azione e che lega l’arte dell’esercizio della pratica in condizioni di incertezza e unicità all’arte della ricerca propria dello scienziato”[3].
La professione insegnante si configura oggi con una veste del tutto nuova, lontana ormai dall’essere semplice trasmettitore culturale o mero applicatore di soluzioni: l’insegnante è operatore di ricerca-azione, programmatore, supervisore, elaboratore-produttore di soluzioni efficaci in contesti specifici e, infine, professionista riflessivo.
È necessario che tutti gli insegnanti assicurino ad ogni componente del gruppo-classe uno specifico itinerario di apprendimento; in una classe, infatti ci sono tante abilità, limiti e risorse nascosti quanti sono gli allievi. La scuola moderna è quella della mediazione educativa, in cui gli alunni vengono valorizzati come persone e mai omologati, rispettando gli stili individuali di crescita, al fine di promuovere apprendimenti significativi e personalizzati per tutti. In questo contesto si inserisce la figura dell’insegnante di sostegno, volta a promuovere nel ragazzo diversamente abile la conquista dell’autonomia personale e sociale, ma sempre nella classe e con la classe.
Concetta Maria Randazzo
[1] A. Canevaro, Insegnanti specializzati per il sostegno, in “L’integrazione scolastica e sociale”, 2002, 1, 2.
[2] l’orizzonte di senso che rende possibile la comprensione è costituito dalla tradizione, che è, quindi, il mondo pre-interpretato da cui ogni nostra successiva interpretazione parte; la tradizione, a sua volta, agisce in noi come pre-giudizio.
[3] D.A.Schon, Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale, Dedalo, Bari 1993, pag.9.