la recensione è stata pubblicata su aetnanet.org il 15 dicembre 2015
Cyberbullismo, filosofia hacker, cracking, pedofilia, violenza in rete, wardriving, cybersoldiers, phishing sono tutti termini che ci spaventano perché difficili da comprendere e perché ci evocano paure legate a ciò che non conosciamo e che spesso non siamo in grado di affrontare. Per chiarirsi le idee su questi argomenti (e su molto altro) consigliamo la lettura dell’ultimo libro del nostro collaboratore Giuseppe Motta – dal titolo “La devianza nell’era digitale tra sociologia e diritto” edizioni Agorà & C. – che la redazione di Aetnanet ha avuto modo di recensire in anteprima assoluta. Il testo ci è sembrato di strettissima attualità perché analizza i comportamenti devianti sul Web sia dal punto di vista sociologico che da quello giuridico con una complessità di argomentazioni ed una originalità nella struttura, che, a nostro avviso, lo rendono unico nel suo genere. Infatti, sebbene vi sia molta letteratura specialistica sull’argomento, non ci sembra che esista un saggio che abbia trattato la materia analizzandola in modo così completo e non rigidamente vincolato ad una singola materia (psicologia, sociologia o diritto), evidenziando lo stretto rapporto esistente tra i contesti sociali, gli atteggiamenti psicologici e le conseguenze giuridiche dei “comportamenti devianti” in Rete.
L’autore, che essendo avvocato e sociologo mostra di padroneggiare la materia con competenza, linguaggio tecnico e profonda cultura, dopo aver inquadrato il problema dei rapporti tra tecnologia, società e diritto, analizza i concetti di devianza e di controllo sociale, la loro evoluzione e le influenze che la “rivoluzione digitale” ha avuto su di essi nel contesto di quella che definisce la “società della sorveglianza”. Nel far ciò mostra di avere ben chiare tutte le teorie che si sono succedute nel tempo in materia di devianza: dalla scuola classica di Cesare Beccaria alle teorie della scelta razionale di David Matza, dallo struttural funzionalismo di Talcott Parsons alle teorie dell’etichettamento (labelling theoriy) di Becker e Lemert. Partendo da queste, analizza il problema di come l’avvento della tecnologia digitale abbia modificato i comportamenti “devianti”, evidenziando il pericoloso assottigliamento del confine tra pubblico e privato, il rapporto tra la tutela della privacy e le enormi possibilità che ci pone il Web, la difficoltà, sempre più evidente nei nativi digitali, di percepire le differenze tra virtuale e reale e di come un mero comportamento “virtuale” possa arrecare irreversibili danni “reali” e l’impossibilità, per il Legislatore, di “inseguire” la tecnologia e i possibili nuovi comportamenti illeciti che ne scaturiscono. Nella seconda parte, infatti, l’autore evidenzia i problemi giuridici che nascono dalla complessità e dalla continua evoluzione dei comportamenti devianti, che frequentemente diventano illeciti penali con l’aggravante dalla extraterritorialità (il Web è globale) cosa che rende la ricerca dei colpevoli molto difficile e la loro punizione quasi impossibile. A questo proposito è da segnalare un capitolo dedicato alle tecniche di indagine informatiche che è all’avanguardia e molto ben documentato e l’ampiezza della ricerca sul campo dell’autore è avvalorata dalla presentazione, in apertura del volume, del dirigente della polizia postale della Sicilia orientale.
Michelangelo Nicotra
Non ho ancora avuto modo di leggerlo, ma dalla presentazione mi sembra ci sia molto di interessante, ed inoltre è il tema che affascina. Al di là dell’indubbio valore scientifico e dell’originalità dell’approccio segnalati nella recensione, credo che questo libro possa essere uno spunto per riflettere sul giusto equilibrio da trovarsi tra i due diversi modi di rapportarsi al mondo, rispettivamente dei nativi virtuali e di chi per decenni ha vissuto il massimo della virtualità guardando 2001 Odissea nello spazio. Ne va della ridefinizione dei concetti di libertà, democrazia, partecipazione, ma anche affettività, amore, sessualità, Roba non da poco.