Capitolo III
Il concetto di Male nel Diritto Internazionale
Il concetto di Male può essere inteso in senso oggettivo o in senso soggettivo: in una visione oggettiva è Male tutto ciò che viola una legge generalmente riconosciuta (sia di diritto positivo, di diritto naturale, ecc.) in una visione soggettiva, per contro, è Male tutto ciò che contraddice la “nostra” morale.
Ogni Ordinamento giuridico ha ovviamente una visione oggettiva del Male. Esso è rappresentato da tutto ciò che viola una norma riconosciuta come tale entro limiti spazio-temporali ben definiti e che, pertanto, va sanzionato infliggendo un ulteriore Male che è però considerato, per convenzione, “giusto”. Per comprendere meglio il concetto è sufficiente fare un esempio: l’adulterio oggi non è considerato dall’Ordinamento giuridico un reato, ma non è stato sempre così. L’art. 559 del Codice Penale del 1930 stabiliva che “la moglie adultera è punita con la reclusione fino a un anno. Con la stessa pena è punito il correo dell’adultera. La pena è della reclusione fino a due anni nel caso di relazione adulterina. Il delitto è punibile a querela del marito”. La Corte costituzionale è intervenuta con due sentenze dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’articolo, dimostrando come la medesima azione a seconda dei tempi possa essere considerata un Male/Reato oppure un mero comportamento che può, tutt’al più, offendere il comune senso della dignità e dell’onore . Se si guarda ad altri Ordinamenti si nota meglio l’evoluzione del concetto in relazione alla sensibilità sociale ed al progresso: nel diritto romano infatti l’adulterio della moglie veniva punito con la pena di morte per mano del marito o dei familiari maschi. Nella Bibbia l’adulterio viene considerato un gravissimo peccato, esso è proibito perché viola il concetto della santità della famiglia e del matrimonio; anche nell’Islam l’adulterio è un peccato molto grave, tanto da prevedere la pena di morte a mezzo della lapidazione.
Ciò premesso sul piano teorico è il caso di analizzare il concetto sia in relazione a quanto stabilito dal diritto internazionale che dal diritto italiano.
Per comprendere come il diritto internazionale interpreti il concetto di Male si può partire da un recente episodio piuttosto esemplificativo. Il Leader Iraniano Hassan Rouhani ha recentemente effettuato un viaggio diplomatico in Europa dopo decenni di isolamento che si può far risalire storicamente alla cacciata dello Scià di Persia ed all’avvento della teocrazia ispirata dall’Ayatollah Khomeini. A causa delle accuse occidentali di sviluppare un programma nucleare mirante alla distruzione dello stato di Israele e di addestrare terroristi per la jihad, l’Iran è sempre stato considerato il prototipo di Stato-canaglia da combattere con ogni mezzo. Fino a pochi mesi fa nessuno Stato occidentale avrebbe accolto una “visita diplomatica” da parte del leader indiscusso di quello Stato; adesso, invece, che ha raggiunto un accordo (sullo sviluppo dell’energia nucleare) con gli Stati Uniti d’America, Rouhani è stato riabilitato e, addirittura, viene corteggiato da tutte quelle stesse nazioni che, fino a poco tempo fa lo consideravano il più pericoloso rappresentante del Male in Medio Oriente, ciò solo perché potrebbe diventare un ricco partner commerciale. Si tratta solo di un esempio che è però rappresentativo dell’elasticità con cui il diritto internazionale ha sempre interpretato il concetto di Male.
In linea di massima nel diritto internazionale si fa una distinzione tra guerra di aggressione (oggi considerata un illecito) e quella difensiva (considerata lecita); ma storicamente la guerra di aggressione non sempre è stata considerata un Male. Nelle società primitive di cacciatori-raccoglitori già esistevano le guerre di aggressione originate dalla limitatezza delle risorse e dall’esigenza di appropriarsi di quelle di altri gruppi sociali. E così anche in seguito quando le società umane si fecero più evolute mediante lo sviluppo dell’agricoltura – dove l’aggressione aveva lo scopo di conquistare i campi coltivati – e con le prime scoperte “scientifiche” che fecero diventare sempre più cruente le guerre e sempre più necessaria una casta di guerrieri organizzati e potenti.
Successivamente le guerre di aggressione ebbero lo scopo di estendere i confini degli stati a scapito di quelli vicini. Il cristianesimo, ed il cattolicesimo in particolare, diede inizio ad un altro genere di guerra d’aggressione quella necessaria per affermare con la forza la religione ed “evangelizzare” i popoli primitivi che non conoscevano l’unico vero Dio. In tal modo si giustificarono sia le crociate contro i paesi islamici del medio oriente, quando il Papa Urbano II prometteva il perdono dei peccati in funzione degli infedeli uccisi, che la conquista dell’America con i gesuiti al seguito delle truppe d’invasione, per convertire quei popoli primitivi e senza Dio di cui si metteva in dubbio anche se avessero l’anima o, ancora, le guerre causate dalla controriforma tra gli stessi cristiani di confessioni diverse. Fino all’epoca moderna tutte le guerre, direttamente o indirettamente, ebbero una motivazione ricollegabile alla religione.
Con la rivoluzione francese si ebbe una “democratizzazione delle guerre”, venne meno l’idea di un esercito di professionisti, perché tutti i cittadini erano tenuti a difendere la patria ed a prestare un servizio militare obbligatorio, cominciò a svilupparsi l’idea che non sempre le guerre fossero giustificate e si crearono delle alleanze a scopo meramente difensivo. L’illuminismo fece venir meno l’idea di un teocentrismo per cui tutto deve essere ricondotto alla religione. Le vere ragioni della guerra da religiose divennero economiche (lo erano in parte sempre state anche se mascherate da motivi religiosi) e così sono rimaste sino ai giorni nostri.
Le guerre mondiali del XX secolo, furono certamente tra gli eventi più traumatici che la storia dell’uomo ricordi ed a causa di ciò alcuni grandi statisti pensarono alla creazione di organizzazioni sovranazionali che avessero lo scopo di dirimere le controversie internazionali al fine di evitare le guerre di aggressione e di regolamentare quelle, eventuali, di difesa. Dopo la I guerra Mondiale Thomas Woodrow Wilson, presidente degli Stati Uniti D’America, si fece portatore dell’iniziativa per la creazione della Società delle Nazioni, il primo grande esperimento che tentò di mettere assieme i rappresentanti di tutte le Nazioni per prevenire o raffreddare un conflitto probabile. Dopo la seconda guerra mondiale e sulla scia della Società delle Nazioni, il 24 ottobre 1945, nacque l’ONU, il cui statuto bandisce definitivamente la guerra d’aggressione chiarendo che lo scopo dell’organizzazione è proprio quello di “salvare le future generazioni dal flagello della guerra”.
Da quel momento in poi la guerra d’aggressione divenne per diritto internazionale illecita e quindi da bandire in quanto Male assoluto. Ma poiché essa è nella natura dell’uomo, gli ultimi settant’anni sono stati caratterizzati da una miriade di guerre combattute in tutte le forme che la fantasia può immaginare e tra quasi tutti gli Stati del mondo, quella che Papa Francesco I ha definito la terza guerra mondiale. Il più delle volte tali guerre sono iniziate, finanziate e fomentate dalle stesse Nazioni Unite o dagli USA che hanno un’influenza determinante sull’organizzazione mondiale. Per superare il vincolo del divieto internazionale e le remore etiche entrano in gioco quei meccanismi – di cui si è in precedenza parlato – di disimpegno morale, per cui non si chiamano più guerre ma vengono eufemisticamente etichettate come: operazioni di peacekeeping, missioni per esportare la democrazia, guerra preventiva al terrorismo, ecc. Inoltre attraverso il meccanismo dell’attribuzione di colpa si lascia intendere che le guerre (Iraq, Afghanistan, Libia, Siria, Paesi subsahariani, ecc.) siano state causate dagli stessi aggrediti con il loro comportamento contrario ai principi di democrazia e umanità comunemente accettate dai paesi occidentali e, per ciò solo, considerati universali.
Alla luce delle considerazioni effettuate forse sarebbe più corretto parlare di una visione soggettiva del Male nel diritto internazionale dove la soggettività viene dalla reale volontà dell’ONU o, ancora più precisamente, dalla volontà degli Stati Uniti D’America a cui il diritto internazionale regolarmente si piega.
Giuseppe Motta
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