Le vicende della “burocrazia” americana sono legate allo sviluppo della scienza dell’amministrazione che, negli Stati Uniti, ha raggiunto vertici di grande spessore teorico. All’eleganza teorica però si è sempre unito un intento pratico, che è strutturale nel sistema di pensiero anglosassone, in quella che Max Weber definiva “etica protestante”.
Tale intento era rappresentato dalla necessità di superare l’inefficienza, l’inefficacia e la corruttela dell’amministrazione fondata sullo spoils system. Questa aspirazione venne fatta propria dal “movimento dei riformatori accademici” che contribuirono a darle una forma istituzionale e un’elaborazione teorica. Essi prendevano a modello le burocrazie professionali operanti in Europa.e nel far ciò si prendevano a modello le burocrazie professionali operanti in Europa, di cui furono indicate come salienti e irrinunciabili le dimensioni di neutralità politica, imparzialità operativa, inamovibilità del personale e pura esecutorietà della legge. La differenza di fondo fra le due impostazioni scaturisce dalla circostanza che, mentre il sistema europeo operò, all’interno dell’ordinamento giuridico, la sistemazione di burocrazie professionali strutturalmente maturate in epoca assolutista, quello americano, invece, fece proprie le posizioni europee utilizzandole quali fondamenta concettuali per patrocinare l’istituzione di un pubblico impiego professionale.
L’approccio dei “riformatori” (1) ha un taglio empirico, in quanto rappresenta un’analisi critica del principio della separazione dei poteri, che la pratica dimostra essere infondata, perché frequentemente ciascuno dei tre poteri dello Stato interviene in aree di decisione formalmente riservate agli altri due. La teoria distingue – all’interno del continuum istituzionale costituito dai tre poteri – due funzioni: una deliberativo-decisionale che viene svolta da personale elettivo o, in ogni caso, selezionato secondo criteri di appartenenza politica; l’altra, puramente esecutiva, di competenza del personale non inquadrato politicamente e scelto secondo criteri rigorosamente professionali. Il sistema così inteso, però, porterebbe ad un reclutamento politico dei funzionari pubblici e ciò inevitabilmente condurrebbe a risultati disfunzionali.
La separazione fra politica ed amministrazione è, quindi, il punto focale e al tempo stesso di partenza, della scienza dell’amministrazione americana, il tutto inserito in un contesto liberista dove la pubblica amministrazione deve ispirarsi ai principi di economicità, efficienza ed efficacia. L’amministrazione deve stare fuori della sfera propriamente politica e le questioni amministrative, seppure la politica ne fissi compiti e finalità, non possono essere da questa influenzate.
Tali teorie ebbero un enorme seguito nella dottrina statunitense a cavallo tra il XIX ed il XX secolo che tentò di collegare la separazione costituzionale dei poteri alla distinzione tra politica ed amministrazione, basandosi sulla teoria che l’organo legislativo, con il concorso delle interpretazioni dell’organo giudiziario, esprimerebbe la volontà dello Stato, mentre l’organo esecutivo dovrebbe dare attuazione a queste politiche in modo imparziale. In questo contesto la burocrazia può diventare uno strumento indispensabile per il raggiungimento dei valori democratici se si sfrutta la sua professionalità e conquistando, in questo modo, un ruolo fondamentale nel sistema costituzionale.
L’impostazione teoretica della scienza dell’amministrazione statunitense, come si è visto, prese le mosse dall’esperienza europea del diritto pubblico ed amministrativo, i suoi sviluppi però, ben presto, si distaccarono nettamente dalle suggestioni culturali europee, che, invece, erano fortemente condizionate dalla circostanza che lo Stato di diritto, ormai rappresentativo e costituzionale, aveva “ereditato”, dall’assolutismo del XVII e XVIII secolo, solide strutture burocratiche a impianto professionale e, quindi, lo sforzo principale di sistemazione scientifica ebbe fondamentalmente lo scopo di rendere compatibili strutture pre-costituzionali con i principi dello Stato di diritto, improntandone l’azione al principio di legalità. Negli Stati Uniti, invece, una volta chiarito l’intento di “professionalizzare la burocrazia”, si presero le mosse dal contesto socio-economico in cui già da tempo operavano le grandi strutture complesse del settore industriale e finanziario, la cui organizzazione venne imposta come modello autoritativo sia organizzativo che gestionale.
Fino alla seconda guerra mondiale, la ricerca e l’insegnamento della Scienza dell’Amministrazione, ebbero natura quasi esclusivamente prescrittiva, ed erano orientati a consolidare il principio della separazione fra politica e amministrazione e a razionalizzare sistematicamente i criteri di efficienza e economicità.
Alla fine degli anni ’40, si sviluppò un pensiero che vide nel separazionismo un falso mito. Il mondo politico e quello burocratico sono intimamente legati, e provare a separarne i destini è sbagliato. Le scienze che studiano i due fenomeni, quindi, sono affini se non addirittura la stessa cosa. La parabola scientifica della public administration arrivò al risultato di una fusione fra scienza dell’amministrazione e scienza politica. Dwight Waldo (2) compì una rivoluzione copernicana; egli, infatti, criticò la dicotomia politica/amministrazione, che giudicava “un’utopia mancata”, e la crescente accentuazione di quest’ultima nel processo politico americano. La relazione politica-amministrazione è un rapporto che contiene elementi si separazione e di mescolanza, ma non è certamente una dicotomia. Negli USA le burocrazie professionali partecipano attivamente al processo di formazione della policy e sono, di conseguenza, portatrici di valori propri, he possono non coincidere con quelli del policy maker elettivo. Così se da un lato la Scuola ortodossa di Wilson, Willoughby e White, attaccava lo spoils system, perché foriero di corruzione, clientelismo, ma soprattutto di sprechi, dal lato dei teorici del New Deal si considerava lo spoil system come intriso di managerialismo con il preciso scopo di evitare gli errori dello spoil system “prima versione”. L’amministrazione deve essere “vicina” alla politica proprio per meglio seguirne gli indirizzi. In quest’ottica venne istituito il Comparative Admnistrative Group, nel 1960, nell’ambito del quale venne fondato lo studio non giuridico delle burocrazie, con un chiaro spostamento dell’interesse verso l’area delle ricerche empiriche e comparate.
Più di recente le interazioni fra politica ed economia si sono intensificate in maniera esponenziale, ed i sociologi delle organizzazioni hanno iniziato a confrontarsi con teorie e modelli economici (matematico-statistici o logico-deduttivi) descrittivi o di previsione del comportamento del politico che “decide” e del burocrate che “esegue”. I nuovi teorici che seguono questa corrente di political scientists sono di fatto degli economisti, ma che hanno preso ad oggetto dei loro studi il sistema politico e il comportamento della burocrazia, con gli strumenti dell’analisi economica(3). Nell’analisi schumpeteriana la figura dell’imprenditore tende a dissolversi, a vantaggio di quella dei managers. Il progresso economico e soprattutto tecnologico tende a spersonalizzare ed a automatizzare il lavoro dei tecnici, soppiantando l’azione personale del capo, il quale diventa solo un funzionario alla stregua della burocrazia nella pubblica amministrazione Proprio a causa del passaggio del potere decisionale a tecnici, managers e funzionari, Schumpeter paventava un futuro in cui il capitalismo lascerebbe lentamente il posto ad un socialismo che vede come un fenomeno di graduale burocratizzazione della società, dell’economia e della politica.
In questo contesto si sviluppò in America la scuola delle public choice con la quale si ebbe l’anello di congiunzione fra economia politica, scienza politica, e studio della burocrazia. Essa utilizza i metodi e gli strumenti della teoria economica per l’analisi dei processi politici finalizzati alle scelte collettive. La politica, in particolare, fa suoi due paradigmi fondamentali della teoria economica, distinguendosi dalla tradizionale scienza della politica: il libero scambio di mutuo vantaggio fra i membri della collettività e l’obiettivo di massimizzazione della propria funzione di utilità da parte di ciascun agente. In questo ambito la Public choice ha per lungo tempo seguito un modello, detto di massimizzazione del bilancio, proposto da William Niskanen(4), per il quale gli uffici pubblici sono portati ad utilizzare le informazioni e le conoscenze acquisite per ottenere un finanziamento più elevato del necessario da parte di politici relativamente disinformati ed inesperti. La massimizzazione del bilancio viene assunta quale obiettivo dei burocrati in quanto più risorse significano maggiore prestigio e maggiori opportunità di carriera per i dipendenti di quell’ufficio pubblico. Buchanan(5) , che è il maggior teorico della pubblic choice, prevede un fallimento dello Stato che è impossibilitato a fornire beni e servizi efficienti senza incappare in ingenti sprechi di risorse finanziarie. In particolare la critica è rivolta contro i burocrati che detengono le conoscenze e, quindi, il potere di realizzare le scelte pubbliche. Questa categoria tenderà sempre al raggiungimento del prestigio sociale mediante la massimizzazione dei propri bilanci, a prescindere dall’interesse pubblico, ciò perché di fatto non possono appropriarsi dei profitti conseguiti con il proprio lavoro e poiché le loro capacità non vengono riconosciute dallo Stato, che le riconosce solo agli imprenditori privati.
Il voler ricondurre il tutto ad una sfera economica è però criticato da alcuni politologi e sociologi, in quanto le applicazioni empiriche della teoria della scelta pubblica nella scienza politica sarebbero viziate da insufficienze metodologiche; in altri termini la teoria non avrebbe tutti i crismi della scientificità. Dal momento della loro introduzione in scienza politica, le teorizzazioni rational choice si sono prestate a due impulsi contrapposti: uno spirito disciplinare volto a unificare le spiegazioni nelle scienze sociali e una tendenza di parte a interpretare tutti i fenomeni sociali in un’ottica microeconomica.
Dagli anni ottanta del secolo scorso si è sviluppata la teoria del New Pubblic Managment che, prendendo lo spunto dalla pubblic choice, ha avuto come priorità quella di aumentare l’efficienza e l’economicità del settore pubblico, mediante una rallentamento della sua crescita attraverso la privatizzazione di aziende pubbliche e l’applicazione dei progressi tecnologici. Si è fatta strada la deregulation intesa come trasferimento di attività, prima di competenza esclusivamente statale, all’attività privata e coincide con la liberalizzazione e privatizzazione dei mercati, rappresentando una svolta epocale nella politica amministrativa americana.
In ogni caso tutta la storia dello studio della burocrazia americana è inserita in un contesto più ampio che mira alla ricerca dell’efficienza ed accomuna la scienza dell’amministrazione agli studi aziendalistici.
La teoria che fa della scienza dell’amministrazione americana una propaggine dell’economia politica intesa in senso ampio, trova però allo stesso tempo un freno ed un motore propulsivo nell’attività di lobbying delle organizzazioni di rappresentanza (sindacati, asssociazioni datoriali, ecc.), delle Chiese, delle grandi aziende (pubbliche o private), Agenzie della pubblica amministrazione, movimenti di opinione (ambientalisti, antiabortisti…,) ecc. tutti gruppi di pressione che partecipano in vario modo al processo politico. Tale attività negli USA rappresenta il processo per mezzo del quale i rappresentanti lobbisti agendo da intermediari portano a conoscenza dei legislatori i desideri dei loro gruppi di riferimento. Si tratta per lo più della trasmissione di messaggi ai decision makers, per mezzo di rappresentanti specializzati legalmente autorizzati . Le lobbies, quindi, non partecipano e non sono interessate a gestire in proprio il potere politico, quanto ad accedervi con facilità e frequenza e ad influenzare le scelte. Giuridicamente la lobby è definibile ed e dotata di dignità politica. L’attività di lobbing viene esperita con tecniche economico-manageriali, e non si identifica con la corruzione che è invece tesa ad ottenere privilegi e guadagni illeciti. Lo scambio esclude la prestazione di denaro o di altri beni o servizi materiali o immateriali da parte dell’interessato. Ove ciò avvenisse, l’azione non sarebbe più di influenza, ma di compravendita della Decisione Pubblica e rientrerebbe a pieno titolo nella categoria della corruzione.
L’esperienza americana offre gli esempi più evidenti della debolezza dell’autorità pubblica di fronte alle pressioni esercitate dai gruppi d’interesse. Per descrivere il rapporto tra gruppi d’interesse, commissioni parlamentari ed enti di governo, si usa la locuzione iron triangles (triangoli di ferro), per cui una serie di comunità stabili, costituiscono una sorta di camera di regia dei policy-making statunitensi. L’importanza che nella vita politica ha assunto questo tipo di relazioni ha indotto gli studiosi a parlare di meso-corporativismo o economia negoziata. Non bisogna però immaginare che la burocrazia sia solo un soggetto passivo che subisce le “attenzioni” delle lobbies; essa, a sua volta, persegue strategie che hanno per obiettivo la gestione dei rapporti che intrattiene con gruppi di interesse, e che perciò essa stessa manipola. Tuttavia nel sistema americano le lobbies rappresentano un fattore di così forte condizionamento che ha inciso sostanzialmente sulla frammentazione dell’autorità dell’esecutivo e sulla crescente riduzione dello spazio disponibile alla produzione di politiche “non negoziabili”.
Ma la caratteristica che contraddistingue il sistema della burocrazia americano e che taglia trasversalmente tutte le teorie che si sono succedute nella scienza dell’amministrazione è il citato spoil system(7), che consiste in una sorta di “patronato degli impieghi”, nel senso dei provvedimenti di assunzione e di licenziamento di parte del personale burocratico da parte dei detentori pro tempore del potere politico. Lo spoil system prevede, infatti, che quanti conseguono un ufficio in virtù dell’esercizio di una prerogativa governativa di nomina discrezionale rimangono legati all’amministrazione in virtù di un rapporto intuitus personae segnato dal perdurare di quel determinato governo.
Il primo sostenitore consapevole di tale sistema fu Andrews Jackson(8) che ne teorizzò i principi fondamentali. Egli affermò che i funzionari pubblici dovevano essere periodicamente sostituiti per impedire la corruzione, per evitare una burocrazia inamovibile e per consentire ad un maggior numero di cittadini di partecipare alla vita politica.
Oggi nell’amministrazione federale degli Stati Uniti il sistema dello spoil system interessa solo poche migliaia di incarichi direttamente collegati al potere del Presidente, che consente di inserire nella burocrazia professionale dei tecnici esterni di norma destinati a ritornare al loro ambiente professionale alla fine del mandato (in genere università). Spesso queste nomine son soggette all’approvazione del Senato che si pronuncia sulla professionalità e sulla dirittura morale del candidato.
I vertici della burocrazia americana hanno, dunque, una natura duplice: ai livelli più alti si trovano ad interagire sia i dirigenti di nomina politica (i political appointees), sia i dirigenti di carriera (i career bureaucrats). Si tratta del sistema amministrativo con la più esplicita e riconosciuta tensione tra la necessità di un apparato pubblico fedele al Presidente, e quindi strumento di esecuzione delle politiche di governo (responsive competence) e il rispetto dei principi democratici di una burocrazia neutrale (neutral competence).
In realtà il processo di nomina dei vertici dell’amministrazione americana è un fenomeno alquanto complesso, in cui si intrecciano elementi culturali, politici, comportamentali e sociali propri della tradizione americana. Si tratta di una dinamica altamente istituzionalizzata, che coinvolge non solo il Presidente, ma anche il Congresso, le Corti, i gruppi di interesse e la burocrazia stessa (considerata la “quarta branca”).
Il sistema americano si distingue dal cd. Spoil system all’italiana, introdotto alla fine degli anni ’90, che è caratterizzato da un meccanismo di decadenze per alcuni incarichi dirigenziali apicali in alcune amministrazioni statali(9). A differenza che negli Stati Uniti d’America, tali incarichi perdono efficacia decorsi 90 giorni dal voto di fiducia ottenuto in Parlamento dal Governo subentrante, ma i rispettivi titolari, qualora già strutturati con rapporto di impiego con la Pubblica Amministrazione, non perdono il loro rapporto di lavoro ma solo l’incarico in corso.
Un’altra caratteristica peculiare dell’amministrazione americana è rappresentata dal fatto di essere di tipo federale. In termini amministrativi il federalismo ha avuto negli USA due accezioni che si sono spesso contrapposte, a seconda che al governo si siano succeduti repubblicani o democratici: il dual federalism e il cooperative federalism. Il dual federalism vede la costituzione di un patto tra diversi Stati sovrani. In esso vengono prima i diritti degli Stati, e l’idea che ai singoli Stati, sono riservati tutti i diritti non specificatamente demandati al Governo federale. Vi è, quindi, una sorta di contrasto fra l’autorità centrale e i singoli stati con conseguente rafforzamento della burocrazia locale. Nel cooperative federalism vi è invece un indiscusso rafforzamento dei poteri del governo federale e della burocrazia centrale, una superiorità di quest’ultima a scapito dei singoli stati. Esso considera la Costituzione come un’intesa stipulata dal popolo di cui esalta la contemporanea cittadinanza sia della Nazione che dello Stato. Tra il potere federale e quello statale si instaura una continua e fruttuosa collaborazione. A fondamento dello Stato federale c’è un “contratto tra i popoli” dei vari Stati. In virtù di questo contratto i popoli trasferiscono una quota parte della sovranità ad un governo nazionale. Ciò, se da un lato ha contribuito a rafforzare quello spirito nazionalistico che caratterizza gli Stati Uniti d’America, da un altro punto di vista ha rafforzato enormemente la burocrazia centrale attribuendole, per certi versi, i caratteri della burocrazia europea, ferma inamovibile e depositaria della conoscenza amministrativa.
Anche la burocrazia americana è dunque diventata depositaria di valori, pratiche, conoscenze e dispone di una quota parte di potere politico.
In conclusione, la breve analisi dei meccanismi burocratici ed amministrativi degli Stati Uniti d’America dimostra che la differenza fondamentale tra la burocrazia europea e quella americana è fondamentalmente di tipo culturale. La prima, infatti, ha origini millennarie e si è formata in ragione di un meccanismo di adattamento a tutta la gamma di tipologie e forme di stato conosciute: dalla democrazia all’impero di Roma, dalla decadenza degli imperi medioevali all’assolutismo dei secoli XVII e XVIII, dall’illuminismo ed il trionfo della ragione anche nella politica (con Tocqueville e Montesquieu), fino alle dittature del XX secolo, passando per le monarchie “costituzionali” dell’ottocento ed, infine, con il trionfo della democrazia nelle varie forme che ha assunto nell’Europa continentale. Dall’uno o dall’altro sistema ha tratto linfa vitale adeguando le proprie conoscenze e rendendole “funzionali al potere”, ma allo stesso tempo ben attenta a mantenere un bagaglio di conoscenze “esclusive” che le hanno consentito un ampio margine di movimento anche quando il controllo di chi gestiva il potere è stato particolarmente pressante.
Viceversa la burocrazia americana è nata e si è sviluppata in un contesto politico democratico e federale, all’interno del quale ha avuto modo di trovare spazi e bilanciamenti del tutto diversi e che traggono sempre e comunque la loro linfa da un sistema che non ha mai subito i travagli che la storia ha imposto all’Europa. Gli americani criticano la loro burocrazia, ne lamentano alcuni eccessi (comunque ben lontani dai nostri), spesso disapprovano lo spoil system che la caratterizza, ma non hanno mai avuto alcun dubbio sul fatto che sia indispensabile e che l’esercizio del potere burocratico sia sempre esercitato nell’ottica del bene comune e in un contesto democratico che ritengono il migliore possibile.
Giuseppe Motta
note
(1)Wilson W. (che fu presidente della repubblica dal 1913 al 1921), The study of administration, Political science Quarterly, 2, 1887, Willoughby W.F., The reorganization of the national government, Johns Hopkins press, Baltimora, 1923, White, L. D. Introduction to the Study of Public Administration, Macmillan. New York, 1926, Goodnow, F. J. Politics and Administration: A Study in Government, Macmillan, New York, 1900
(2)Waldo D., Introduzione alla scienza dell’amministrazione pubblica, Zanichelli, Bologna, 1957, Random House, inc, New York, 1955
(3)Schumpeter J.A., Capitalismo, socialismo, democrazia ed. di comunità, Milano, 1964
(4)Niskanen, W. A., “Bureaucracy.” In Charles K. Rowley (Ed. ). Democracy and Public Choice. Oxford: Basil Blackwel 1987
(5)Buchanan, J. M., “Public Choice: The Origins and Development of a Research Program,” Center for Study of Public Choice, George Mason University, Fairfax, 2003
(6)Pasquino G., alla voce «Gruppi di pressione», in Dizionario di Politica a cura di Bobbio – Matteucci, UTET, Torino, 1976
(7)La locuzione rappresenta la sintesi della frase pronunciata dal Senatore William Marcy nel 1829 che disse in un pubblico discorso le seguenti parole:”to the victor belong the spoils” (letteralmente, “al vincitore spettano le spoglie”)
(8)Andrew Jackson è stato il 7º Presidente degli Stati Uniti d’America dal 1829 al 1837.
(9)Segnatamente gli incarichi sono: Segretario Generale, Capo Dipartimento e tutti quei dirigenti che svolgono funzioni direttamente connesse agli indirizzi politico-amministrativi espressi dall’Organo politico di vertice (art. 19 del D. Lgs. 165/2001).
Senza dubbio un buonintervento. Seguo con attenzione il sitoweb https://www.giuseppemotta.it. Avanti così!
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