Cyberbullismo e nuove norme: problemi risolti?

Cyberbullismo e nuove norme: problemi risolti?

La legge 29 maggio 2017, n. 71, recante “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”, rappresenta il momento giuridico culminante di un’evoluzione sociologica di alcuni comportamenti devianti caratterizzati dall’elemento comune della connessione. La generazione dei nativi digitali è infatti cresciuta in una società nella quale le nuove tecnologie e i social network guidano la loro vita, il modus vivendi di oggi è il “sempre connessi”; il reale si avvicina sempre più al virtuale, fino a confondersi in esso, rendendone difficoltosa la distinzione. Internet è diventata parte fondamentale della vita quotidiana ed ha modificato in maniera piuttosto evidente gli atteggiamenti e le modalità di socializzazione, con la conseguenza che si sono evolute anche le forme di prevaricazione e di sopraffazione tra giovani in un nuovo tipo di devianza giovanile, il cd. Cyberbullismo.

Nel romanzo “Il posto più pericoloso del mondo” di Lindsey Lee Johnson – edito da Bompiani – l’autrice racconta la storia di alcuni adolescenti in una scuola “bene” della California. La vicenda prende le mosse da un atto di cyberbullismo tra compagni di classe in terza media; un ragazzino – Tristan – invia una lettera d’amore ad una compagna di classe, romantica e goffa come può essere la prima dichiarazione di un adolescente. La destinataria – Cally – la passa ad un ragazzo di cui è a sua volta innamorata, per mettersi in mostra. La lettera finisce su Facebook ed in seguito a commenti di ogni tipo Tristan decide di togliersi la vita. Dopo il triste evento e dopo un’indagine all’interno della scuola il primo capitolo finisce con questa riflessione: “A Cally avevano fatto qualche domanda, ma lei e Tristan non erano neppure amici su Facebook; tecnicamente parlando non aveva fatto nulla di male. In quel preciso istante Cally provò ben altro che senso di colpa o tristezza, perciò ora, in teoria, sarebbe dovuta tornare a lezione, copiare il compito di scienze e imbrogliare in quello di matematica, come se nulla fosse”.

La frase finale è incredibilmente efficace perché mostra chiaramente la totale deresponsabilizzazione dell’adolescente, che, pur comprendendo di aver fatto del male al ragazzo, non ne ha alcuno scrupolo morale. Gli adolescenti, che sono i destinatari della legge 71/17, infatti, comprendono perfettamente i meccanismi dei social, molto più degli adulti, e, se è corretto utilizzare il termine per un adolescente, quando commettono un atto di cyberbullismo, si può affermare, contrariamente a quanto comunemente si ritiene, che lo fanno con dolo eventuale. Si sente dire sempre che i ragazzi vanno rieducati ad un uso corretto dei social, ciò però ritengo che non sia del tutto corretto; l’adolescente conosce perfettamente il male che può fare un uso indiscriminato del Web, ma non conosce il significato del rispetto, della tolleranza, dell’empatia e non ha quindi alcun freno morale. I cyberbulli, destinatari della legge, andrebbero, per prima cosa, educati ad un sistema di valori che sembra si sia definitivamente perso. A questo purtroppo abbiamo molto contribuito noi adulti. Gli stiamo lasciando un mondo in cui prevale chi è più forte, più ricco o più furbo a prescindere da cosa causi l’uso disfunzionale della forza, della ricchezza e della furbizia.

Ciò premesso, per comprendere perché il cyberbullismo si è sviluppato nel terzo millennio ritengo necessario analizzare in sequenza, come il fenomeno si costruisce nelle relazioni sociali, per poi passare all’evoluzione dal concetto di bullismo a quello di cyberbullismo e gli ambienti in cui questi comportamenti devianti si sviluppano, per finire analizzando le responsabilità individuali del bullo, gli atteggiamenti della vittima e l’importanza degli spettatori, oltre a quelle sociali della famiglia, della scuola e, più in generale, della società.

  1. come il fenomeno si costruisce nelle relazioni sociali

È chiaro a tutti che le relazioni sociali tra pari, specie nell’adolescenza, hanno una grande rilevanza, grazie alla loro influenza sul benessere emotivo e sull’integrazione sociale dell’individuo, in particolare, negli adolescenti, per le ripercussioni a lungo termine. Relazioni tra pari positive sono, infatti, correlate a un senso di identità positivo, al senso di valore, di fiducia e di autostima, oltre che allo sviluppo di competenze affettive che metteranno, gli adolescenti, in grado di gestire in modo ottimale le relazioni sociali nel corso della vita. Ma se il lato positivo delle relazioni tra pari mette in luce la grande capacità di influenzare il benessere psicologico delle persone anche oltre l’arco temporale dell’adolescenza, vi è però anche un lato “oscuro” che si evidenzia in comportamenti devianti che frequentemente nell’adolescenza assumono le caratteristiche del bullismo.

Tuttavia una definizione univoca del bullismo e ancor più del cyberbullismo, che sia cioè unanimemente condivisa dalla comunità scientifica, è molto difficile, e comprenderne le cause, quindi, rappresenta un primo passo per capire il fenomeno.

Le scienze sociali hanno superato il modello deterministico-lineare, di cui il comportamento deviante non è più spiegabile ricorrendo esclusivamente a determinati fattori causali, come le tare ereditarie del singolo (Lombroso), la problematicità della famiglia di origine, l’appartenenza a sub-culture devianti, la capacità di fare scelte razionali individuali, ecc.; in maniera semplicistica, se così fosse, dovremmo poter dire che tutti i soggetti con tali caratteristiche sono destinati ad intraprendere percorsi devianti. Ciò denota, unicamente, il bisogno dell’uomo di semplificare la realtà, attraverso il ricorso a categorie preordinate, e di mantenere una distanza di sicurezza rispetto al male e al negativo.

L’epistemologia moderna ha concentrato la propria attenzione su modelli più articolati, multifattoriali e di tipo probabilistico. In questo nuovo contesto culturale il comportamento deviante dipenderebbe dal modo in cui i fattori di rischio – che spingono verso le condizioni di disagio e di disturbo – e i fattori protettivi – che costituiscono le risorse che permettono di recuperare equilibrio e benessere – intervengono nella vita dell’adolescente influenzandone lo sviluppo della personalità. Il tutto in un processo di reciproca influenza ed in presenza di comportamenti adattivi che contribuiscono alla determinazione di un fenomeno.

Il bullismo va considerato, in quest’ottica, un comportamento dipendente dall’azione combinata di molteplici variabili che riguardano la “vittima”, il “bullo”, gli “spettatori” e, infine, le strutture sociali in cui il fenomeno si sviluppa (la struttura di personalità del ragazzo, la tipologia familiare, le caratteristiche del gruppo dei pari, il clima relazionale presente all’interno della scuola la piazza virtuale in cui l’adolescente esprime liberamente se stesso). Queste variabili, interagendo tra loro, determinano la condotta deviante. L’attenzione deve porsi quindi sia sui fattori di rischio che protettivi, ma soprattutto sui processi e sui meccanismi che sostengono l’attuarsi di esiti di sviluppo non adattivi, per cui non si formano quelle abilità concettuali, sociali e pratiche, utili per vivere in maniera socialmente coerente la vita di tutti i giorni.

Per questo motivo, anche in presenza delle stesse condizioni psicologiche, sociali, familiari e scolastiche di partenza (cioè pressoché identica qualità e quantità di fattori di rischio e di fattori protettivi), potrebbe comunque accadere che l’uno diventi un bullo, l’altro una vittima.

Il modello multifattoriale probabilistico, che sembra essere allo stato quello più capace di spiegare la complessità dei fenomeni, spinge al passaggio dall’analisi del “perchè” i comportamenti si manifestino, all’analisi del “che cosa essi vogliano comunicare”, attraverso l’indagine sul come un’azione sia collegata con la storia individuale, familiare e sociale del soggetto, e sul modo in cui, attraverso di essa, in quanto “parte”, si esprima la problematica esistenziale della persona, che è poi “il tutto”. Il comportamento deviante viene così considerato “una parte che parla per il tutto”.

I comportamenti devianti e criminali, in tale ottica, sono allora dei “sintomi” attraverso i quali il soggetto esprime il proprio disagio e la propria sofferenza. Non sono però dei “segni” che qualificano il soggetto e la struttura della sua personalità; è opportuno, infatti, non confondere “ciò che una persona fa con ciò che una persona è”, facendo coincidere un semplice comportamento con la sua personalità.

Una volta compreso come il fenomeno si costruisce nelle relazioni sociali, si può anche pensare al bullismo non solo come un comportamento che si determina nelle relazioni circolari, tra ragazzi, tra ragazzi e genitori, tra ragazzi, genitori, docenti e tra ragazzi nella piazza virtuale del Web, ma anche come una comunicazione di disagio che interessa il bullo e l’intero suo sistema di appartenenza. In questo modo si comprende la necessità, sotto un profilo metodologico, di interventi orientati non solo al singolo bullo o alla vittima ma all’intero loro contesto di vita.

Il Legislatore con la citata legge contro il cyberbullismo ha inteso infatti intervenire sul contesto di vita degli attori a fini preventivi e programmatici.

  1. Evoluzione dal concetto di bullismo a quello del cyberbullismo

Il bullismo è quindi, in generale, un comportamento che nasce e trova alimento in un contesto di relazioni sociali che mira deliberatamente a fare del male o danneggiare; spesso è persistente, dura per settimane, mesi e persino anni. Alla base della maggior parte dei comportamenti sopraffattori c’è un abuso di potere e un desiderio di intimidire e dominare. Due sono le caratteristiche che rendono il bullying differente da altre manifestazioni di aggressività o di conflitto: lo squilibrio nel rapporto di forza tra il bullo e la vittima e l’intenzione di arrecare un danno alla persona più debole. All’interno di tale sistema di comunicazione il fenomeno bullistico può assumere molteplici forme:

  1. il bullismo fisico che rappresenta l’esempio emblematico del fenomeno, ad esempio un bambino prepotente che colpisce uno più piccolo e indifeso, in più occasioni e davanti ad altri;
  2. il bullismo verbale – più frequente – si presta ad una maggiore ambiguità, si può prendere in giro qualcuno per divertimento, per scherzo o con la precisa volontà di ferirne l’orgoglio.
  3. il bullismo sociale, infine, si ravvisa quando viene messa in atto una vera e propria forma di manipolazione sociale in cui gli altri sono utilizzati come mezzi per attaccare ed alterare i rapporti sociali in classe o nel gruppo di pari, per isolare un compagno scelto come bersaglio dal gruppo. Il bullismo di tipo sociale mira soprattutto a danneggiare l’autostima dell’altro e il suo status sociale.

L’ambiente del bullo, prima dell’avvento di internet, era esclusivamente la scuola, il luogo pubblico, un luogo dove poter mettere in mostra la propria “forza” davanti agli altri, unico scopo del suo atteggiamento; l’avvento di Internet e delle piazze virtuali, che è diventato il principale luogo di socializzazione fra gli adolescenti, ha spostato i comportamenti prevaricatori dei bulli nel cyberspazio trasformandoli in cyberbulli. L’ambiente nel quale si può essere soggetti a fenomeni di bullismo si è quindi totalmente dilatato fino a raggiungere la casa, la propria stanza, mediante la connessione ad Internet e attraverso gli smartphone. Perché ormai tutti sono connessi e la propria identità virtuale conta più di quella reale, con la conseguenza che il danno d’immagine al profilo rileva di più sia dal punto di vista dello spazio che del tempo.

Il cyberbullo va a minare questo fragile equilibrio e spesso aggredisce la propria vittima nel mondo virtuale con un atteggiamento di distruzione che poi va a coinvolgere l’intero ambiente della vittima: familiare, sociale, scolastico, ecc..

Il bullo, dunque, non agisce più esclusivamente all’interno del mondo reale ma spesso si muove meglio nella Rete, perché è attraverso questa nuova dimensione che egli compie azioni per le quali è preferibile essere non-riconoscibile, irrintracciabile e invisibile. Queste nuove forme di bullismo trovano il loro snodo principale nella trasmissione elettronica di informazioni offensive quali l’insulto, la minaccia, il pettegolezzo, i video, attraverso l’uso di strumenti quali i siti web, i social network, la posta elettronica, i blogs, etc. In realtà con l’utilizzo dei nuovi media la vittima non trova più sicurezza neanche nella propria abitazione e diventa una sorta di entità virtuale spersonificata che toglie ogni scrupolo morale al bullo che, peraltro, ha una sensazione di onnipotenza dovuta alla convinzione di non poter essere scoperto o di non poter essere perseguito.

Alla luce di tali considerazioni il cyberbullismo si può definire, in termini non giuridici, come un atto aggressivo, intenzionale, condotto da un individuo o un gruppo di individui usando varie forme di contatto elettronico contro una vittima. Questa definizione, simile a quella del bullismo tradizionale, in realtà implica la necessità dell’uso delle nuove tecnologie della comunicazione. La tipicità delle modalità di manifestazione del comportamento, che con l’utilizzo del Web consente la possibilità che un pubblico potenzialmente indefinito visioni il materiale pubblicato online, si manifesta in tutta la sua gravità purtroppo anche con un singolo comportamento, la pubblicazione on line, che oltrepassa ogni limite di spazio e tempo. Di conseguenza anche solo un gesto, che nel mondo “reale” non è sufficiente per configurare un’attività di bullismo, lo è nel mondo virtuale perché possa parlarsi di cyberbullismo. A differenza del concetto classico di bullismo, quindi, dove per definizione i comportamenti devono essere reiterati per lunghi periodi di tempo, nel cyberbullismo è sufficiente un unico comportamento dannoso e ciò proprio per intrinseche caratteristiche di diffusività della Rete. La legge 70/2017 infatti nella complessa definizione che da del cyberbullismo non parla mai di reiterazione della condotta. La definizione normativa ha messo assieme tutta una serie di comportamenti che l’esperienza ha inquadrato come cyberbullismo, fornendone un’elencazione puntuale. L’art. 1, infatti, testualmente dispone che si deve considerare cyberbullismo, “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità’, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché’ la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più’ componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”.

Nel Bullismo una serie di caratteristiche come popolarità, statura, peso, intelligenza, forza fisica, età, sesso e status socio-economico possono dare un potere, percepito o reale, nei confronti di una vittima e sono gli elementi che vengono spesso considerati quando si decide di offendere e/o prendere di mira una persona. Nel cyberbullismo invece, il bullo può di fatto nascondere le sue stesse debolezze; è anche possibile che le persone coinvolte nell’atto neanche si conoscano tra loro; paradossalmente si può verificare che on line le posizioni si scambiano e il bullo inteso in senso classico diventi vittima di cyberbullismo. Come conseguenza di questo sul Web si arriva ad una maggiore disinibizione, una deindividualizzazione, che porta ad atti di maggiore aggressività grazie ad un ambiente digitale che fa sì che i responsabili delle suddette azioni violente abbiano meno restrizioni e più potere di sempre.

  1. gli ambienti in cui questi comportamenti devianti si sviluppano

La scuola, la famiglia, il gruppo dei pari, sono in genere riconosciuti come le fondamentali agenzie di socializzazione che incidono sull’educazione degli adolescenti. Fermarsi a queste però è un errore. O quanto meno lo è diventato dopo l’avvento del Web 2.0. L’internet della partecipazione, della condivisione e dell’interazione. Con lo sviluppo dei canali multimediali, infatti, la socializzazione si configura come un processo sempre più articolato e complesso, caratterizzato da una moltiplicazione dei punti di riferimento significativi, che segnano il passaggio ad una vera e propria pluralizzazione delle socializzazioni, dove i tempi e i luoghi della dimensione formale si alternano agli spazi informali, caratterizzati da esiti assolutamente più imprevedibili e aperti, da nuove espressioni di socialità e dall’alternanza sempre più diffusa tra esperienza reale ed esperienza virtuale (cfr. Tirocchi ragazzi fuori, bullismo ed altri percorsi devianti tra scuola e spettacolarizzazione mediale. F. Angeli).

Ciò non toglie che, ognuna nel proprio ambito, tutte le agenzie educative intervengono nello sviluppo della personalità del ragazzo ed interagiscono con le sue reazioni ad eventuali fenomeni di cyberbullismo.

Spesso i primi a rendersi conto che un ragazzo è oggetto di bullismo non sono i genitori ma gli insegnanti che vedono lo studente nei suoi momenti di socialità in cui interagisce con il gruppo di pari. Ma la maggior parte di essi, pur essendo consapevole dei significativi effetti negativi del cyberbullismo e pur mostrando preoccupazione per la diffusione di tale fenomeno, spesso non ritengono sia compito della scuola occuparsene, in quanto le condizioni di malessere della vittima non è direttamente riconducibile alla scuola ma all’utilizzo indiscriminato dei mezzi tecnologici ed informatici, inoltre spesso gli insegnanti non hanno la necessaria competenza per intervenire efficacemente. La scuola però non è una struttura educativa a se stante, ma rappresenta il momento in cui si unifica ogni aspetto di crescita, educazione e cultura. In questo contesto gli insegnanti dovranno avere quindi la funzione di:

  • aiutare i ragazzi che si trovano in difficoltà perché oggetto di cyberbullismo;
  • intervenire nei confronti di chi fa un uso inadeguato delle nuove tecnologie in Rete: ascoltando, fornendo consigli, sensibilizzando, dando informazioni ai ragazzi ed ai genitori su quelli che sono i rischi della Rete;
  • sensibilizzare anche sul fatto che quelli che vengono ritenuti scherzi divertenti in realtà, spesso, sono dei veri e propri reati.

Su questo versante è intervenuta massicciamente la legge 71/17 che ha sancito all’art. 4 le “linee di orientamento per la prevenzione e il contrasto in ambito scolastico”, mediante una specifica formazione del personale scolastico ed una serie di iniziative a sostegno dell’attività della scuola.

La famiglia, un tempo considerata il simbolo rassicurante della tradizione ed il rifugio per eccellenza, ha modificato il proprio assetto, subendo forti cambiamenti strutturali, assumendo nuovi stili comunicativi e sperimentando nuovi modelli di interazione. Le diverse modalità con cui si esprime l’intervento educativo dei genitori e la presenza all’interno della famiglia di altre figure significative, rappresentano tutte variabili di un sistema formativo che può trovare al suo interno equilibri e squilibri a seconda delle diverse connotazioni che assumono i rapporti interpersonali di quel piccolo gruppo formato dalla famiglia. In famiglia la frattura tra il mondo degli adolescenti e quello degli adulti è maggiormente avvertita a livello comunicativo ed è amplificata dalla diffusione dei mezzi tecnologici e dal diverso modo che ognuno ha di rapportarsi con essi: i giovani comunicano in maniera sintetica ma intensa e veloce, mentre la comunicazione degli adulti resta ancorata alla routine dei vecchi linguaggi tradizionali. In tal senso diventano difficilmente identificabili i ruoli e le reciproche aspettative tra generazioni, e non sono chiari i valori da trasmettere o da negoziare, con la conseguente difficoltà di comprendere tempestivamente i primi sintomi che evidenziano la possibilità che l’adolescente possa essere vittima di cyberbullismo .

La situazione d’incertezza che caratterizza la scuola e la famiglia non può far altro che determinare un ulteriore distacco delle nuove generazioni e una conseguente totale identificazione in quelle reti formative orizzontali informali rappresentate dal “gruppo dei pari”. Il gruppo dei pari è una forma di aggregazione sociale spontanea tipica dell’età adolescenziale e giovanile che riveste una grande importanza nel processo di crescita degli individui. Nel momento in cui gli adolescenti avvertono il giusto bisogno di prendere le distanze dalla famiglia e dalla scuola e per cercare una propria dimensione individuale più autonoma, il gruppo offre accoglienza, protezione e riconoscimento per la nuova identità che essi vanno formando, ciò li aiuta a non sentirsi più figli o allievi ma individui liberi di sperimentare nuove regole, nuovi modi di stare in relazione, nuove dimensioni quali l’autonomia, l’espressività, l’affettività, la sessualità, la creatività, l’affermazione personale. Il gruppo dei pari è insomma un ambiente aperto in cui è più facile esprimersi e trovare le forme per esprimere la propria personalità, anche contestando il mondo degli adulti.

Il gruppo è sia uno spazio privilegiato entro cui condividere le esperienze, negoziandole quotidianamente con gli altri, sia un porto sicuro in cui i giovani possono rintracciare rassicuranti segnali di solidarietà, traendo forme di aiuto a livello emotivo, psicologico, comportamentale e cognitivo, sino a diventare l’espressione più indicativa di un diverso modo di concepire la propria esistenza.

Il gruppo svolge pertanto una funzione di protezione e contenimento più flessibile rispetto a quella delle altre agenzie educative: in esso l’adolescente si sente libero di sperimentarsi in quelle nuove dimensioni e bisogni del sé che si affacciano per la prima volta alla sua coscienza e che, all’interno della famiglia e della scuola, è spesso difficile, quasi impossibile, manifestare e soddisfare, a causa della presenza di gerarchie e ruoli rigidi. Il gruppo di pari può essere l’arma più efficace per combattere i bulli, o, viceversa, il luogo in cui lo scherzo si trasforma in incubo.

Allo stato attuale, tornando all’affermazione per cui la scuola, la famiglia e il gruppo dei pari non esauriscono il novero delle agenzie di socializzazione dell’adolescente, si deve aggiungere che anche i media costituiscono una sorta di ulteriore agenzia formativa informale delle nuove generazioni, essendo diventati punto di riferimento e di confronto con i quali i giovani si mettono continuamente in relazione. Un uso oculato e strutturato degli stessi strumenti tecnologici può rappresentare un importante elemento per recuperare quella socialità che la vittima del cyberbullismo sembra aver perso completamente.

  1. Le responsabilità individuali

Il bullo può essere dominante o gregario. Nel cyberbullismo il bullo è di norma anonimo e la sua figura non è necessariamente legata ad una immagine di forza e di arroganza. Anzi spesso il cyberbullo virtuale è un vigliacco che tende a fare ciò che non avrebbe il coraggio di dire o di fare nella vita reale. l bullo virtuale non vede le conseguenze delle proprie azioni, e proprio quello può ostacolare in lui la comprensione empatica della sofferenza provata dalla vittima. Nel cyberbullismo si possono, inoltre, rilevare anche processi di spersonalizzazione, per cui le conseguenze delle proprie azioni vengono addebitate alla Rete. Il comportamento del cyberbullo, come si è detto, inoltre è caratterizzato da assenza di limiti spazio-temporali, per cui gli episodi di bullismo non sono limitati al contesto scolastico o, più in generale, esterno, ma possono avvenire in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento.

Il potere del bullo si rafforza perché l’offesa o la persecuzione si propaga nella Rete in ogni istante e può raggiungere una platea illimitata di visualizzatori, che possono non conoscere la vittima. Ciò rende difficoltoso individuare luoghi e tempi in cui tali dinamiche relazionali avvengono, con la conseguenza che il fenomeno appare meno riconoscibile e di più difficile gestione e contrasto, sia per gli organi competenti ma anche per le famiglie delle vittime. Nel bullismo tradizionale in genere la vittima e il bullo sono persone che si conoscono, che frequentano la stessa scuola ed hanno avuto almeno qualche contatto relazionale.

Così come avviene nel bullismo, il cyberbullo sceglie specificamente, e non a caso, la vittima. Generalmente la sceglie perché:

  1. È diversa in qualche modo dagli altri (viene da un altro paese, ha un’altra religione, porta l’apparecchio ai denti…)
  2. Non sarà facilmente aiutato dagli altri (ad es, è un ragazzo solo che non fa facilmente amicizia)
  3. E’ meno abile nell’utlizzo dei social media.

In genere quando il bullo inizia ad utilizzare uno o più social contro la vittima trova sempre un gruppo che si accoda ed amplifica le conseguenze del gesto.

La vittima può, a sua volta, essere passiva o provocatrice. Gli atteggiamenti del cyberbullo e della vittima in qualche modo possono essere considerati complementari. La difficoltà di entrare in contatto con le proprie emozioni e riconoscere quelle degli altri, insieme all’incapacità di esprimere i sentimenti con le parole sono aspetti che la vittima e il bullo hanno in comune, insieme alla difficoltà di fondo di entrambi di mettersi in relazione con gli altri.

Tendenzialmente la vittima nega l’esistenza del problema con chi lo circonda perché tende a colpevolizzarsi e questo è uno dei motivi per cui difficilmente parla del suo problema con qualcuno.

Comunque la vittima spesso sviluppa emozioni ambivalenti:

Rabbia. La rabbia per quello che è accaduto, cui non è capace di reagire. La rabbia viene generalmente espresss nei confronti delle persone care come il padre, la madre o i fratelli

Vergogna. Si vergogna di quello che è accaduto e crede che i compagni di classe  e/o gli amici lo considerino un debole, un vigliacco. E’ difficile per lui fare amicizia poiché crede che nessuno vorrà essere suo amico. In genere si vergogna anche di rivelare quanto accaduto ai genitori per timore di deluderli.

Senso di Colpa. Sente di essere in parte responsabile di quanto accade.

Paura. Vive con la costante paura di essere preso in giro, deriso.

La combinazione di rabbia, paura, vergogna e colpa porta l’adolescente a non raccontare a nessuno ciò che vive e di conseguenza a non chiedere aiuto. Questo isolamento emozionale in futuro potrebbe indurlo a non essere in grado di assumersi delle responsabilità, di avere un ruolo sociale ben definito, e di stabilire relazioni interpersonali positive.

Il terzo “protagonista” del cyberbullismo è lo spettatore, che può essere sostenitore del bullo, difensore della vittima o indifferente. Il bullismo tradizionale non si manifesta in situazioni isolate dal contesto sociale; solitamente gli atti di bullismo vengono attuati quando altri membri del gruppo sono presenti; persino quelli che non ci sono fisicamente nel momento in cui l’azione violenta viene effettuata sono comunque consapevoli di quello che succede. Il bullismo infatti non è un’azione isolata ma ripetuta. Quando altri soggetti assistono, il loro comportamento non può mai essere considerato neutrale. Essi possono tentare di difendere la vittima, oppure possono unirsi al bullo. Anche l’assenza di partecipazione comunica al bullo che nessuno si intrometterà a fermare l’aggressione.

Attenzione però, tanto più saranno gli spettatori, tanto maggiore è il rischio dell’indifferenza o del tacito assenso all’azione deviante. Gli psicologi Darley e Latane nel 1968 introdussero il termine “effetto spettatore”, in base al quale la probabilità di intervento diminuisce in funzione del mero numero di spettatori. Se molte persone sono testimoni di un’emergenza che coinvolge qualcun altro, ognuno è consapevole del fatto che gli altri potrebbero intervenire. Questa consapevolezza costituisce la base per il disimpegno morale attraverso il meccanismo della diffusione della responsabilità: ognuno dei testimoni ritiene che la piena responsabilità non sia centrata su di sé, ma sia condivisa tra tutti i testimoni. Di conseguenza, la disponibilità a offrire aiuto si riduce. Ciò è quello che di norma succede sul Web; un atteggiamento bullistico con la pubblicazione, ad esempio, di una falsa notizia fa scattare dei meccanismi che ricalcano quelli evidenziate nell’effetto spettatore: gli amici possono reagire condividendo ed aumentando il danno ed in questo caso entrano nel novero di quello che è stato definito bullismo gregario, oppure possono ignorare il fatto evitando commenti in positivo ed in negativo. Solo pochissimi interverranno per bloccare o frenare il bullo.

  1. Considerazioni finali

Alla fine di questo percorso dobbiamo chiederci cosa fare. Oggi se non si è sui social, non si esiste; Si è introvabili, irraggiungibili, incontattabili, distanti dagli altri, anche se fisicamente vicini Senza una connessione, senza un computer o uno smartphone, ci si sente persi. Ecco che sotto la patina della condivisione, della maggiore facilità di stare in contatto con gli altri, si nasconde una scia di solitudine. Sembra che i social network si siano inseriti nella distanza che le persone hanno messo tra loro e, nella società postmoderna, hanno colmato un vuoto che si è creato in seguito al sempre più scarso senso di fiducia nell’altro da sé.

Sembra che Internet abbia dato coraggio a tutti quelli che sono troppo spaventati per essere loro stessi nella realtà, anche grazie al fatto che proprio la realtà si è fatta sempre più intollerante verso le diversità. Internet è quindi la valvola di sfogo, un mondo con molte meno regole, meno proibizioni, ma un mondo complesso, intricato e dai molti lati oscuri. Un mondo non ancora compreso fino in fondo, un mondo pressoché infinito e dal difficile controllo. Il cyberbullismo è uno dei tanti fattori di rischio legati a questo mondo e legati ai Social quali surrogati relazionali.

La legge 29 maggio 2017 n. 71, si è inserita con difficoltà in questo quadro sociale, tentando di dare delle risposte più o meno coerenti. Essa è rivolta, principalmente, alle istituzioni scolastiche, tanto che sembra che dai diciott’anni in su non esista un problema di cyberbullismo. Purtroppo i veri ignoranti digitali sono gli adulti. Gli stessi che amano i nuovi padroni della Rete, portati ad esempio, perché ci danno la possibilità di una vita nuova diversa, virtuale; e tutto ciò gratis. Adoriamo Zuckemberg, Jobs, Larry Page, Jeff Bezos, perché ci regalano Internet, i social, le app, ci fanno comprare tutto a prezzi minimi, o gratis ma non ci rendiamo conto che tutto ha un prezzo e in questo caso la merce di scambio siamo noi, le nostre vite, i nostri desideri, le nostre idee. Abbiamo svenduto la nostra privacy a chi fa di noi delle marionette a cui far comprare quello che vogliono, far pensare quello che vogliono, ci fanno indignare per quello che vogliono e quando vogliono

Nel momento in cui pensiamo di essere liberi di poter esprimere il nostro pensiero davanti all’immenso palcoscenico della Rete, di dire le cose più intelligenti, più spiritose, più profonde, non ci rendiamo conto di diventare quello che Umberto Eco definì l’imbecille digitale: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità”. Quegli stessi imbecilli digitali che, con molta probabilità, quando saranno chiamati con i propri figli cyberbulli davanti al Questore per l’ammonimento,previsto dall’art. 7 della suddetta legge, li difenderanno a spada tratta con le più incredibilmente assurde giustificazioni, perché sono i primi a non comprendere la pericolosità insita nell’assenza di spazio-tempo che caratterizza la Rete e che i figli oggi cyberbulli domani potrebbero essere vittime di un comportamento che, più di ogni altro, produce danni spesso irreversibili.

Giuseppe Motta

*l’immagine è tratta dal sito www.scuolazoo.com

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